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Anche in caso di compensazione delle spese processuali, la parte vittoriosa può esigere il rimborso del contributo unificato dalla parte soccombenteby Studio Legale Padula
Trattandosi di obbligazione “ex lege”, è sottratto alla potestà del giudice di disporne la compensazione ovvero di liquidarne autonomamente l’ammontare
All’esito di un giudizio, non sempre accade che il Giudice condanni alle spese giudiziali la parte soccombente: ciò in deroga, seppur motivata, al noto principio della soccombenza reale o virtuale (quest’ultima soggetta ad una astratta previsione, nei casi cessata materia del contendere, ad esempio) di cui all’art. 91 c.p.c..
Orbene, la ratio sottesa a tale “meccanismo” processuale, certamente volto a garantire la piena realizzazione del diritto di difesa costituzionalmente garantito (art. 24 Cost.) e del principio di matrice europea del “giusto processo” (art. 6 CEDU), è quella di consentire alla parte le cui ragioni vengono sostanzialmente appurate e condivise dal Giudice di non dover subire i costi della stessa iniziativa giudiziale, avviata proprio a causa dello scorretto comportamento di controparte.
Si consideri, che la condanna alle spese di giudizio può essere disposta dal Giudice anche d’ufficio, ovvero pur se difetti una esplicita richiesta in tal senso per conto della parte vittoriosa: ed infatti, ove il difensore di quest’ultima abbia omesso di produrre la nota spese, come previsto dall’art. 75 disp. att. c.p.c. ai fini del controllo di congruità ed esattezza della richiesta e di conformità alle tariffe professionali, il Giudice vi provvede, comunque, d’ufficio sulla base degli atti di causa (in tale senso, cfr. Cass. Civ. sentenza n. 42/2012).
Tanto accade, in disparte la previsione più estrema della condanna al risarcimento del danno per lite temeraria, prevista dall’art. 96 c.p.c. nei casi di condotte processuali colpevolmente defatigatorie.
Ma non sempre il Giudice, nel disporre la condanna alle spese, valutate le circostanze del giudizio ed il comportamento tenuto dalle parti, applica il principio di soccombenza.
Si riscontra, invece, sempre più spesso, che all’esito del giudizio, il Giudice dichiari la compensazione delle spese fra le parti, di talché ciascuna di esse è costretta a sopportare i costi della propria difesa, nonostante sia risultata vittoriosa.
Ebbene, in tali casi, spesso sfugge che il contributo unificato, pagato dalla parte vittoriosa, può, comunque, essere richiesto da quest’ultima alla parte soccombente, anche ove essa non si sia costituita in giudizio.
Ed infatti, come si è, più volte, pronunciato, al riguardo, il Giudice di Legittimità, in base al chiaro tenore letterale dell’art. 13, comma 6 bis, D.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 2 comma 35 bis lett. e) d.l. 13 agosto 2011 n. 138, nella versione integrata dalla legge di conversione 14 settembre 2011 n. 148, la parte soccombente è tenuta in ogni caso a rimborsare a quella vittoriosa il contributo unificato dalla stessa versato, venendo in considerazione una obbligazione “ex lege” sottratta alla potestà del giudice sull’ an e sul quantum.
Tanto vale, oltre che per il processo civile, anche per il processo amministrativo.
In quest’ultimo caso, in particolare, il Consiglio di Stato ha espressamente affermato che nel processo amministrativo la compensazione delle spese di giudizio non può riguardare anche il contributo unificato, essendo esso oggetto di una obbligazione “ex lege” sottratta alla potestà del giudice, sia riguardo alla possibilità di disporne la compensazione, sia riguardo alla determinazione quantitativa del suo ammontare (sul punto, Consiglio di Stato, sez. III, sent. n. 1160 del 13/03/2014).
Insomma, salva l’ipotesi dell’appello della pronuncia del Giudice in parte qua, relativamente al capitolo “spese”, la ripetibilità del contributo unificato versato dalla parte vittoriosa resta, seppur una magra consolazione, certamente un credito da far valere!
Avv. Stefania D’Amato
Cultore di materia presso l’Università del Salento
Fonte: Anche in caso di compensazione delle spese processuali, la parte vittoriosa può esigere il rimborso del contributo unificato dalla parte soccombente
(www.StudioCataldi.it)
Whatsapp: ecco i divieti che tutti ignoranoby Studio Legale Padula
L’app di messaggistica istantanea più usata a livello mondiale contiene diversi divieti, ignorati dai più, come quello di essere inibita ai minori di 16 anni
di Marina Crisafi – Oltre 700 milioni di utenti attivi la classificano come la app più utilizzata al mondo per chat e messaggistica istantanea, ma tra gli utenti Android, iOS e Windows ci sono anche coloro cui Whatsapp è vietata.
Lo sapevate, infatti, che il suo utilizzo è inibito ai minori sotto i 16 anni? Probabilmente no, perché il divieto è, di fatto, ignorato dai più, visto che, come rivela un recente sondaggio realizzato da Mec-Skuola-net, il 70% dei ragazzi con meno di 16 anni utilizza Whatsapp quotidianamente.
Eppure basterebbe leggere termini e condizioni di utilizzo dell’app – regole che, per inciso, appaiono in bella vista e sono da approvare e da rispettare nel momento in cui si effettua l’installazione – per saperlo, ma forse per la fretta e la superficialità con la quale ormai si scarica sullo smartphone o, forse deliberatamente, nessuno ci fa caso.
Quello degli under 16 tra l’altro non è l’unico divieto.
L’app infatti vieta l’invio di messaggi e contenuti di natura pornografica, razzista, offensiva, minacciosa, illegale e diffamatoria ed è, inoltre, inibita agli utenti che si collegano da Paesi soggetti a embargo da parte degli Stati Uniti o che sono da questi ritenuti “simpatizzanti dei terroristi” o, ancora, che facciano parte di una delle liste “proibite” dalla Casa Bianca.
Tutti divieti contenuti nei classici termini d’uso che sono debitamente ignorati dagli utenti.
Ma neanche da WhatsApp, sinora, sembra ci sia stato un qualche tipo di intervento inibitorio.
Quindi, come si dice, quando il gatto non c’è i topi ballano. Ma attenzione, perché il gatto è sempre in agguato.
Anche perché le regole (“Terms of service”) parlano chiaro: è l’utente l’unico responsabile dei contenuti pubblicati, identificato dal numero che appare sul display del proprio telefono e del ricevente, e, dunque, l’unico chiamato a rispondere per qualsiasi violazione perpetrata o danno causato. Regole, si ricorda, pienamente accettate sin dal momento in cui si scarica la app, anche se dopo vengono ignorate.
Fonte: Whatsapp: ecco i divieti che tutti ignorano
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La sospensione feriale dei termini processuali. Da quest’anno più breve. Facciamo il puntoby Studio Legale Padula
Quali sono i termini a cui si applica la sospensione feriale , quali le finalità e quali i casi di esclusione
La sospensione feriale dei termini nel periodo feriale è un istituto di natura processuale che prevede l’esclusione dei giorni ricompresi tra il 1 e il 31 agosto dal calcolo delle scadenze processuali.
Il periodo di sospensione feriale: finalità
Com’è sopra accennato con l’entrata in vigore della L. 162/2014, la sospensione dei termini nel periodo feriale è stata ridotta a trenta giorni. Mentre l’originario termine di quarantacinque giorni rispondeva ad una ratio garantista nei confronti delle parti in applicazione del più generale diritto di difesa, con la recente modifica il legislatore ha inteso smaltire il contenzioso arretrato anche attraverso la contestuale riduzione del periodo di ferie dei magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari (nonché degli avvocati e dei procuratori dello Stato) così come prevista dal nuovo art. 8-bis della L. 97/1979.
Casi di esclusione
Per espressa previsione legislativa la sospensione feriale non si applica:
– in materia penale (artt. 2, 2-bis, 4 L. 742/1969, art. 91 r.d. 12/1941, art. 467 c.p.p.): ai procedimenti relativi ad imputati in stato di custodia cautelare in caso di rinuncia alla sospensione dei termini da parte dell’imputato o del suo difensore; alle indagini preliminari in caso di reati di criminalità organizzata; alle cause relative ad imputati detenuti o a reati che possono prescriversi, o che, comunque, presentano carattere di urgenza; ai procedimenti per l’applicazione di una misura di prevenzione ove sia stata provvisoriamente disposta una misura personale o interdittiva o sia stato disposto il sequestro dei beni se vi è rinuncia esplicita alla sospensione feriale o dichiarazione di urgenza; in caso di incidente probatorio per l’assunzione delle prove non rinviabili.
– in materia civile (artt. 3 e 4 L. 742/1969, art. 92 r.d. 12/1941, artt. 409 e 442 c.p.c.): alle cause di alimenti; ai procedimenti cautelari; ai procedimenti per l’adozione di provvedimenti in materia di amministrazione di sostegno, interdizione, inabilitazione; ai procedimenti per l’adozione di ordini di protezione contro gli abusi familiari, di sfratto e di opposizione all’esecuzione; ai procedimenti di dichiarazione e revoca dei fallimenti e, in genere, a tutte le cause rispetto alle quali la ritardata trattazione potrebbe produrre grave pregiudizio alle parti; alle controversie aventi ad oggetto rapporti di lavoro subordinato privato, anche se non inerenti all’esercizio di una impresa; rapporti di mezzadria, colonia parziaria, compartecipazione agraria, affitto a coltivatore diretto, rapporti derivanti da altri contratti agrari; rapporti di agenzia, rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretizzino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale anche se non a carattere subordinato; rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica; rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici ed altri rapporti di lavoro pubblico; assicurazioni sociali; infortuni sul lavoro; malattie professionali; assegni familiari; ogni altra forma di previdenza e assistenza obbligatorie; nonché alle controversie relative alla inosservanza degli obblighi di assistenza e previdenza derivanti da contratti e accordi collettivi.
– in materia amministrativa (art. 5 L. 742/1969): ai procedimenti per la sospensione feriale dell’esecuzione del provvedimento impugnato.
Fonte: La sospensione feriale dei termini processuali. Da quest’anno più breve. Facciamo il punto
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Pensioni: dal 1° giugno pagamenti il primo del mese ma con qualche eccezioneby Studio Legale Padula
L’Inps conferma l’armonizzazione della data di pagamento dei trattamenti pensionistici il primo di ogni mese, salvo qualche eccezione che slitta a luglio
di Marina Crisafi – A partire da lunedì tutti i trattamenti pensionistici saranno posti in pagamento il primo giorno del mese.
Lo comunica, ufficialmente, l’Inps con il messaggio n. 3159/2015 (qui sotto allegato) recependo una delle novità contenute nel recente d.l. n. 65/2015 (c.d. decreto pensioni) con il quale il Governo ha stabilito i rimborsi da dare ai pensionati a causa del blocco delle rivalutazioni per gli anni 2012 e 2013 deciso dalla riforma Fornero e dichiarato incostituzionale dalla Consulta (leggi: “Sì del Governo al ‘rimborsino’ ai pensionati: da 750 a 278 euro dall’1 agosto”).
L’obbligo, inserito nell’art. 6 del decreto “al fine di razionalizzare e uniformare le procedure e i tempi di pagamento delle prestazioni previdenziali corrisposte dall’Inps”, smonta di fatto le novità introdotte dall’ultima legge di stabilità che aveva fatto slittare al 10 del mese i trattamenti pensionistici risultanti da più gestioni (Inps, Inpdap, Enpals).
Per cui, precisa l’ente, con unico mandato di pagamento, salva l’esistenza di cause ostative, a decorrere dalla mensilità di giugno 2015 tutti “i trattamenti pensionistici, gli assegni, le pensioni e le indennità di accompagnamento erogate agli invalidi civili, nonché le rendite vitalizie dell’INAIL”, saranno posti in pagamento il primo giorno di ciascun mese” o il giorno successivo nel caso in cui il primo del mese sia festivo o non bancabile.
L’anticipazione vale anche per i trattamenti delle gestioni spettacolo e sportivi professionisti, in precedenza effettuati il 10 del mese e delle gestioni pubbliche prima previsti il 16 di ogni mese.
Le regole di unificazione si applicano sia per le pensioni pagate in Italia che per quelle erogate all’estero.
Ma c’è qualche eccezione.
Rimane ferma infatti la cadenza bimestrale delle gestioni spettacolo e sportivi professionisti corrisposte ai beneficiari residenti all’estero.
Inoltre, dati “i tempi ristretti tra la data di approvazione della norma e la prima data unica di pagamento, i flussi agli enti pagatori sono stati trasmessi separatamente per Inps, Inpdap e Enpals e ciò – comunica l’ente previdenziale – non ha consentito di unificare tutti i pagamenti in capo al medesimo soggetto”.
Questo significa che per i titolari di più trattamenti pensionistici facenti carico a gestioni private, pubbliche e spettacolo e sport per questo mese vedranno unificate le disposizioni di pagamento, prima effettuate in maniera disgiunta, mentre il pagamento effettivo e unico avverrà dal prossimo mese, a partire dall’1 luglio.
Per tutti, poi, in base al decreto 65/2015, ricorda l’Inps, a decorrere dal 2017, i pagamenti saranno effettuati non più il primo del mese ma il secondo giorno bancabile.
Fonte: Pensioni: dal 1° giugno pagamenti il primo del mese ma con qualche eccezione
(www.StudioCataldi.it)
DIRIGENTI ILLEGITTIMI delle Agenzie fiscali – secondo step (di Ilaria Corridoni)by Studio Legale Padula
TRIBUTARIO FLASH
Le lente dell’avvocato sul problema fiscale
di Ilaria Corridoni
Avvocato Cassazionista Master Tributario
In apertura di settimana, facendo espresso richiamo all’articolo a mia firma, che abbiamo già pubblicato il 22 maggio 2015 e che trovate su LIA Law in Action sotto il titolo “Dirigenti decaduti: lo stato dell’arte“, debbo dedicare una trattazione mirata alla sentenza depositata il 19 maggio u.s. dalla Commissione Tributaria Regionale di Milano, rubricata al n°2184/2015.
Milano è da sempre un punto importante di riferimento in ogni ambito del diritto.
La pronuncia summenzionata rappresenta la progressione che dobbiamo affrontare nella disamina del tema caldo dei “dirigenti senza concorso” e per guardare agli step che verosimilmente si succederanno a venire con un ritmo sostenuto.
E’ andata ieri su Italia Oggi, insieme ad un articolo del Vice Direttore Marino Longoni, una summa sulle sentenze emesse ad oggi dalla Commissioni di merito, con alcuni commenti interessanti.
La Regionale di Milano arriva sul problema recando disamina approfondita e piuttosto articolata in punto di diritto, stabilendo dei principi cardine di fondamentale importanza.
– sono decaduti dagli incarichi dirigenziali tutti coloro che erano stati nominati in base alle norme dichiarate incostituzionali (art. 8, c. 24 DL 16/2012; art. 1, c. 14, DL 150/2013; art. 1, c. 8, DL 192/2014);
– sono illegittimi tutti gli atti da essi firmati;
– in base alla legge 241/1990, richiamata dal Regolamento di Amministrazione dell’Agenzia delle Entrate, in GU n. 36/2001, gli avvisi di accertamento sono emessi dalla direzione provinciale e sono sottoscritti dal direttore o, per delega di questi, da altri dirigenti o funzionari a seconda della rilevanza e complessità degli atti.
Preme a questo punto ricordare quanto ho già evidenziato nell’articolo surrichiamato del 22 maggio 2015 (in Lia Law in Action con il titolo “Dirigenti decaduti: lo stato dell’arte”) circa i limiti e i requisiti di una valida delega di firma.
Il difensore tributario ricordi sempre di esaminare il testo completo dei documenti che l’Agenzia produrrà in giudizio e dei relativi allegati!
Il Giudice Regionale Milanese prosegue evidenziando che la legge 241 cit. sancisce all’art. 21 septies la nullità assoluta dei provvedimenti viziati “per difetto assoluto di attribuzione”.
Gli avvisi firmati da un dirigente “senza concorso”, decaduto, illegittimamente nominato, sono nulli per violazione degli art. 42 DPR 600/1973 e 56 DPR 633/1972 e specificamente per incompetenza.
C’è quindi un passo fondamentale in cui il Collegio d’appello di Milano si esprime negando che le regole interne dell’Amministrazione finanziaria, pur alla luce di certa giurisprudenza di Cassazione che l’ufficio tenta di addurre a sostegno delle proprie difese, consentano di ritenere validi gli atti firmati da semplici funzionari se questi non sono stati validamente delegati.
Sono da considerarsi validamente delegati alla firma solo coloro che tale delega (ndr: purchè sia nominativa, completa, per circoscritti ambiti di spazio e di tempo) abbiano ricevuto da dirigente nominato a seguito di pubblico concorso e non ex lege come di fatto avvenuto sino all’intervento della Consulta.
Viene ulteriormente richiamata la giurisprudenza di legittimità già citata nel mio pezzo del 22 maggio 2015 (in Lia Law in Action con il titolo “Dirigenti decaduti: lo stato dell’arte”), che per brevità non ripropongo e che tratta della violazione dell’art. 42 DPR 600/73.
Tale vizio di incompetenza può essere eccepito in ogni stato e grado del giudizio e può essere rilevato anche d’ufficio.
Questa attualmente è la cresta dell’onda.
Chi non avesse sollevato eccezione nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, o in appello o persino dinanzi alla Corte di Cassazione, potrà ancora farlo e addirittura far valere il vizio in udienza perché questo consegue naturaliter dalla rilevabilità d’ufficio dello stesso.
La sentenza della Consulta non è un “documento” in senso tecnico e non vi è alcuna preclusione all’ostensione, alla citazione ed all'”utilizzo” dinanzi alle Corti.
Non occorre affatto, a parere di chi scrive, neppure la proposizione di “motivi aggiunti” ex art. 24 D. Lgs. 546/1992, perché tale espediente è da adottarsi quando ciò è reso necessario dal deposito, ad opera delle altre parti, di documenti non conosciuti.
Se l’Amministrazione producesse in giudizio documenti “nuovi” volti a contrastare l’eccezione del ricorrente sarà facoltà di questo presentare anche i cd. “motivi aggiunti”, ma si rammenti che l’Agenzia, a norma dell’art. 58 D. Lgs. 546/1992, può produrre “documenti nuovi” anche in grado d’appello.
La partita è aperta.
Potrà essere sempre presentata una memoria nei modi e termini di legge se serve alla tranquillità del difensore tributario e aiuta a lumeggiare i termini della questione con degli spunti interessanti e pertinenti che le Corti dovranno raccogliere via via, man mano che la vicenda si “chiarirà”.
Neppure questa però è indispensabile, stante che il vizio discende da una pronuncia di incostituzionalità delle norme su cui poggiava l’impianto delle deleghe e delle nomine dirigenziali, come abbiamo visto è rilevabile d’ufficio e – diciamo così – non è sanabile.
Speriamo che il tema respiri in virtù di pronunce ponderate ed autorevoli e di consistenti, altrettanto autorevoli, interventi di dottrina.
Appuntamento al prossimo step su LIA Law in Action per le novità di rilievo.
Fonte: DIRIGENTI ILLEGITTIMI delle Agenzie fiscali – secondo step (di Ilaria Corridoni)
(www.StudioCataldi.it)