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Compensi avvocati: anche senza incarico, l’impegno e il tempo dedicati al mancato cliente vanno pagatiby Studio Legale Padula
L’avvocato che impegni il proprio tempo e le proprie competenze professionali, anche in assenza di un conferimento formale dell’incarico, ha diritto al compenso secondo il tariffario forense.
Così ha deciso la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 22737 del 27 ottobre 2014, dando partita vinta a un legale nei confronti di una società che si opponeva al decreto ingiuntivo emesso dal giudice di pace di Pisa per il pagamento di prestazioni professionali.
Rigettate le proprie istanze in primo grado, la società presentava appello, asserendo di non aver mai conferito alcun mandato all’avvocato e che lo stesso non aveva mai effettuato prestazioni professionali in suo favore.
Ma il legale aveva un asso nella manica: aveva conservato i documenti (nella specie un atto di citazione per una causa già pendente) che i rappresentanti della società avevano portato presso il suo studio per visionarli in vista di un possibile procedimento giudiziale, nonché la missiva con la quale lo stesso avvocato invitava la società a formalizzare l’incarico professionale.
Da qui la prova decisiva, che il legale aveva impiegato tempo nello studio della questione e per quello andava pagato, giacchè, come affermato dai giudici di merito: “non si trattò di un mero colloquio informativo ma vennero sottoposti all’attenzione del legale atti giudiziari ancora in possesso in copia dell’avvocato e prodotti in giudizio, al fine di ottenere un parere e in vista di un futuro mandato professionale”.
Confermando le statuizioni di primo e secondo grado, la Cassazione ha ritenuto evidente la sussistenza di un rapporto professionale tra la società e il legale, con il conferimento di un incarico “avente ad oggetto un parere professionale in merito ad una causa già pendente”.
Pertanto, ha concluso la S.C., rigettando il ricorso, “il professionista per aver impegnato il proprio tempo e le proprie competenze professionali” aveva maturato, senza alcun dubbio, il diritto al compenso sulla base delle tariffe forensi
Fonte: Compensi avvocati: anche senza incarico, l’impegno e il tempo dedicati al mancato cliente vanno pagati
(www.StudioCataldi.it)
Cassazione: quando l’ausiliare del traffico non è dipendente comunale. Poteri e limiti sanzionatoriby Studio Legale Padula
di Licia Albertazzi – Corte di Cassazione civile, sezione sesta, sentenza n. 21268 dell’8 Ottobre 2014.
La regola generale in tema di potere sanzionatorio in capo agli ausiliari del traffico dipendenti delle società di gestione parcheggi è il limite del territorio oggetto di concessione amministrativa.
Normalmente, al di fuori di tale perimetro, l’ausiliario dipendente privato non ha il potere di sanzionare gli utenti che trasgrediscono il codice della strada.
Esiste però un’eccezione precisa, elaborata dal legislatore nell’ottica di semplificare e razionalizzare l’azione amministrativa, prevista all’art. 17 della legge 127/1997 (“Misure urgenti per lo snellimento dell’attivita’ amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo”) secondo la quale a detto personale “può essere conferita anche la competenza a disporre la rimozione dei veicoli (…)” al di fuori del limite della concessione.
L’attribuzione di tale potere aggiuntivo, relativo al controllo della sosta dei veicoli ed esercitabile anche al di fuori del perimetro concernente la concessione amministrativa, deve essere tassativamente conferita a mezzo provvedimento amministrativo, con individuazione nominale, da parte del Sindaco, dell’ausiliare del traffico prescelto.
Nel caso di specie è avvenuto proprio questo. Sanzionato per sosta vietata in area esterna a quella della concessione, il privato ha impugnato il verbale di accertamento contestando la circostanza che il soggetto redigente fosse un ausiliare del traffico non dipendente comunale bensì dipendente dell’azienda titolare della concessione del parcheggio adiacente. Sia il giudice di primo che di secondo grado hanno confermato l’annullamento della relativa sanzione; tuttavia, argomentando come sopra, la Suprema corte ha individuato l’errore del giudice del merito, il quale non ha verificato la sussistenza di tale provvedimento amministrativo di nomina – nonostante la circostanza fosse stata tempestivamente addotta dal Comune resistente – ed ha di conseguenza accolto con rinvio il ricorso proposto dall’ente locale.
Fonte: Cassazione: quando l’ausiliare del traffico non è dipendente comunale. Poteri e limiti sanzionatori
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Novità pignoramento in casa: se non si vende all’asta l’esecuzione terminaby Studio Legale Padula
Il creditore resta insoddisfatto e il processo esecutivo si estingue per eccessi di ribasso che comportano un deprezzamento del valore del bene.
Tra le tante novità dell’ultima riforma della giustizia, si scopre che, in un minuscolo articolo – quasi invisibile [1] – è stata prevista una misura di estremo interesse e importanza, a tutela della casa e del debitore. La norma è probabilmente passata inosservata a gran parte dei commentatori, intenti soprattutto a criticare l’impianto normativo in sé, la definizione delle cause attualmente pendenti mediante l’affidamento ad “avvocati-arbitri” e i nuovi metodi di separazione e divorzio. Vediamo dunque di approfondire e comprendere quali saranno le conseguenze di questa mini-rivoluzione sui processi esecutivi immobiliari.
Si tratta di una novità di tutto rilievo che rischia di far chiudere definitivamente migliaia di procedure di esecuzione forzata, avviate tramite il pignoramento di case e immobili vari (terreni, fabbricati, quote di comproprietà su beni indivisi, ecc.). Si tratta, invero, di fascicoli vecchi di decine d’anni, ormai logori, che giacciono nei carrelli dei tribunali e lì stanno più per inerzia che per impulso. Un procedimento esecutivo immobiliare, infatti, può essere estremamente lungo (non di rado si superano i 10 anni) perché subordinato all’eventuale presentazione di offerte,alle varie aste, da parte dei potenziali acquirenti. E chi compra case dai tribunali ha una visione sufficientemente smaliziata tale da saper attendere che il prezzo – indicato dal giudice come base d’asta – scenda a sufficienza per raggiungere l’affare “perfetto”.
Ecco – dicevamo – tutto questo da oggi non ci sarà più o, quantomeno, sarà notevolmente ridimensionato.
In buona sostanza, la riforma ha previsto che, se a seguito di una serie di ribassi di asta, il prezzo battuto come “base d’asta” per l’esecuzione forzata dell’immobile dovesse discostarsi di molto dal suo valore di mercato, il giudice deve disporre la chiusura anticipata del processo esecutivo. Il che, in pratica, significa che il creditore, dopo aver anticipato gli elevati importi per le spese di pignoramento, dopo aver atteso diversi anni nella speranza di recuperare il proprio credito, dovrà invece dire addio alla procedura e tornare a casa con le tasche vuote.
La norma, però, ha una sua indubbia base di giustizia. Lo scopo è quello di non svendere i beni sottoposti ad aste.
Un esempio riuscirà a far comprendere meglio la situazione paradossale che, in assenza di tale previsione, potrebbe venirsi a creare. Mettiamo che Tizio abbia un debito con la banca di 100mila euro. Quest’ultima, pertanto, gli pignora la casa del valore di 200mila euro, con la speranza di poterla vendere e soddisfare quanto non ancora incassato. Se, per ipotesi di scuola, si riuscisse a vendere l’immobile al reale valore di mercato (200mila euro), si avrebbe una perfetta situazione di giustizia: la banca otterrebbe i suoi 100mila euro e il residuo della vendita (gli altri 100mila euro) andrebbero al debitore che li potrebbe usare per acquistare una nuova casa ove andare a vivere. Ma questa è un’ipotesi virtuale, che quasi mai ricorre. Molto più spesso, gli interessati all’acquisto di un immobile tramite il tribunale attendono che si svolgano più aste e che le stesse “vadano deserte” (ossia non si presenti nessuno), in modo che, ad ogni successivo passaggio, il giudice faccia scendere sempre più la “base d’asta”. Potrebbe allora verificarsi, per ipotesi (anche questa ipotetica) che, a seguito di numerosi ribassi, la casa venga venduta a 30mila euro. Risultato: la banca rimarrà ancora creditrice di 70mila euro, il debitore rimane senza casa e il suo sacrificio non gli è valso neanche la possibilità di liberarsi dal debito, poiché la banca potrà continuare ad aggredirlo fino a totale soddisfazione.
Insomma: la compressione del diritto (alla proprietà) del debitore non può mai pregiudicare in modo irragionevole i suoi diritti della persona.
Ecco, allora, cosa dice testualmente la nuova norma:
(Infruttuosità dell’espropriazione forzata). “Quando risulta che non è più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo, è disposta la chiusura anticipata del processo esecutivo”.
Ma possibile che, sino ad oggi, nessuno ci aveva pensato? In realtà esisteva già un rimedio previsto dal codice (anche se poco spesso utilizzato): il giudice già ieri poteva “sospendere” l’esecuzione forzata in assenza di offerte vantaggiose. Ma si trattava di una semplice “sospensione” e, peraltro, eventuale. Con la conseguenza che, nel frattempo, il debitore era comunque obbligato ad andare via da casa o a pagare il fitto all’incaricato alla vendita.
Oggi, invece, la riforma prevede che il giudice stabilisca del tutto la chiusura definitiva della procedura. In pratica, il debitore si libera (non del debito, ma) dell’esecuzione forzata e può tornare nella piena disponibilità del proprio bene.
Segnaliamo comunque un precedente del tribunale di Napoli che, con una interpretazione evolutiva, quasi un anno fa, benché ancora non ci fosse tale riforma, era arrivato alla stessa soluzione sulla base di una lettura ragionata dei principi del nostro processo (leggi l’articolo “Che succede se la casa all’asta non si vende nonostante i ribassi?”).
La nuova norma non specifica gli effetti che l’eventuale estinzione del pignoramento immobiliare avrà sulle eventuali ipoteche accese dal creditore; si deve però ritenere che le stesse possano continuare a rimanere iscritte nei pubblici registri (salvo il rinnovo periodico). Né viene chiarito quale forbice tra valore di stima e valore di vendita possa considerarsi sufficiente per imporre al giudice la chiusura della procedura. Il che sarà rimesso alla valutazione del singolo tribunale.
Se il creditore insiste di nuovo Una cosa però è certa: nonostante (anche in questo caso) nulla dica la legge (spetterà eventualmente ai giudici interpretarla in tal senso), qualora il creditore, una volta estinta la procedura per assenza di offerte, proceda a pignorare nuovamente lo stesso immobile, riavviando il medesimo calvario per il debitore (ben conoscendone l’inutilità in assenza di riassetti del mercato immobiliare) si potrebbe configurare un abuso di diritto; e pertanto il debitore ben potrebbe proporre una opposizione all’esecuzione forzata ed, eventualmente, chiedere la condanna del creditore al risarcimento del danno per lite temeraria [2].
Equitalia Nonostante i limiti ai pignoramenti posti dal Decreto del Fare all’Agente della riscossione, la nuova norma si applica anche a quest’ultimo. Per tale aspetto rinviamo all’articolo “Stop pignoramenti e aste di Equitalia“.
La prima vendita all’incanto Sempre la riforma aggiunge un’ultima norma anch’essa non meno interessante della precedente. Si specifica, in particolare, che nel caso di vendita all’asta, l’incanto può essere disposto solo quando il giudice ritiene probabile che la vendita con tale modalità abbia luogo ad un prezzo superiore della metà rispetto al valore del bene [3].
[1] Art. 164 bis DL n. 132 del 12.09.2014 conv. in legge n. 162 del 10.11.2014.
[2] Art. 96 cod. proc. civ.
[3] Determinato a norma dell’art. 568 cod. proc. civ.
Fonte: http://www.laleggepertutti.it/59127_novita-pignoramento-casa-se-non-si-vende-allasta-lesecuzione-termina#sthash.kaVd43fe.dpuf
CAUSA DI SERVIZIO – Carabinieri e Polizia – Cardiopatia ischemica – TAR Umbria n. 359/2014 e TAR Palermo 373/2014 (del Prof. Avv. Ciro CENTORE)by Studio Legale Padula
di Paolo M. Storani – LIA Law In Action è lieta di ospitare un nuovo, graditissimo contributo del Prof. Avv. Ciro Centore in tema di diritto amministrativo, relativo all’argomento della causa di servizio.
Buona lettura!
TAR / CARABINIERI E POLIZIA/ CARDIOPATIA ISCHEMICA / CAUSA DI SERVIZIO
Due sentenze, recentissime, del Tribunale Amministrativo.
La prima, della I Sezione del TAR Umbria, intervenuta sotto il n. 359/2014 e la seconda, sempre di quest’anno, del TAR Palermo (n. 373/2014), sono “concomitanti” nel riconoscimento di una causa di servizio, con relativo equo indennizzo, in favore di carabinieri e agenti di polizia.
Nelle due fattispecie ci si era lamentati, prima in sede di Comitato di verifica delle patologie insorgibili ed insorte nel periodo di servizio e poi, su disconoscimento di queste patologie, ricorrendo al Tribunale Amministrativo, del fatto secondo cui determinate infermità vanno riconosciute in dipendenza del lavoro “stressante”, sia come causa principale e sia come “concausa” laddove la prima non sia stata determinante.
Nel caso di specie, per quel che riguarda un agente di polizia che aveva, per anni, prevalentemente servizio di “addetto alle Volanti” e di addetto al servizio di “scorta” per personalità di vario genere, tra cui Magistrati, era intervenuto un netto “rifiuto” al riconoscimento della causa di servizio per una patologia “ischemica”.
Il Ministero dell’Interno aveva assunto che non c’era un collegamento tra questo “particolare servizio” dante luogo ad uno stress “psicofisico” e la malattia di poi insorta e di cui si aveva ancora sofferenza, sicchè si negava la invocata “concessione di equo indennizzo”. Nella seconda fattispecie, invece, il soggetto che era ricorso alle salvaguardie giudiziarie, era costituito da un “Vice Brigadiere dei Carabinieri” che aveva disimpegnato compiti “prevalenti” di pronto intervento e che era stato colpito da una cardiopatia ischemica in conseguenza della quale era stato trattato con il “impianto di Stent”.
Il Tribunale Umbro ha avuto a riconoscere l’invocata “causa di servizio”, annullando il decreto di disconoscimento intervenuto in sede di “Comitato di Verifica per le Cause di Servizio”, sottolineando che la patologia era da collegarsi alle abitudini di vita del soggetto e alle particolari ed abnormi responsabilità ed eccezionali disagi del militare che aveva chiesto il trattamento privilegiato da rapportare a queste infermità. In sede istruttoria i Giudici amministrativi hanno avuto ad effettuare la cosiddetta “verifica” di carattere “tecnico/sanitarie” ricorrendo al Direttore della Sezione di Medicina Legale della Università degli studi di Perugia e avendo ricevuto ampia relazione dallo stesso, con riconoscimento del “collegamento” tra lavoro disimpegnato e patologia ischemica sopravvenuta, ha accolto la richiesta dell’interessato.
Queste due sentenze, tra l’altro motivatissime, hanno una rilevanza nel panorama generale delle infermità da riconoscere (e non da disconoscere) e le si segnalano perchè, a parere di chi scrive, l’Amministrazione “militare”, in senso lato, attraverso il Comitato di Verifica tende, quasi sempre, ad una minimizzazione delle richieste avanzate e del rilascio di decreti di riconoscimento di patologie varie.
Riteniamo che una maggiore attenzione, anche a questa giurisprudenza, eviterebbe un allargamento del contenzioso che proprio nel settore militare si va ampliando ed allargando, negli ultimi tempi, sempre più.
Fonte: CAUSA DI SERVIZIO – Carabinieri e Polizia – Cardiopatia ischemica – TAR Umbria n. 359/2014 e TAR Palermo 373/2014 (del Prof. Avv. Ciro CENTORE)
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Gli organismi di mediazione impugnano le nuove incompatibilitàby Studio Legale Padula
Nell’assemblea svoltasi il 23 e 24 ottobre 2014, il Coordinamento della Conciliazione forense (associazione che raccoglie 48 organismi di mediazione facenti capo agli ordini forensi) ha affrontato il tema delle novità introdotte dal Dm 139/2014 ed in particolare l’introduzione dell’art. 14-bis nel Dm 180/2010 che disciplina “incompatibilità e conflitti di interesse” del mediatore.
Più precisamente, in ordine alle nuove incompatibilità per l’avvocato assistente della parte che sia semplicemente iscritto come mediatore (o addirittura collega di un mediatore) presso lo stesso organismo, il Coordinamento ha espresso la sua ferma contrarietà, deliberando di promuovere l’impugnazione del decreto, ma allo stesso tempo di chiedere un immediato confronto con il Ministero della giustizia per valutare i giusti correttivi (anche interpretativi) a delle previsioni “ingiuste e non necessarie”.
L’orientamento propos to – Per cui è stato deliberato di procedere alla impugnazione del Dm 139/2014 con riguardo alla norma sopra richiamata suggerendo allo stato, i seguenti ed immediati indirizzi interpretativi:
a) sulle mediazioni pendenti: le nuove disposizioni non possono comunque ritenersi applicabili alle istanze di mediazione depositate anteriormente all’entrata in vigore del decreto, avvenuta il 24 settembre 2014;
b) sulle mediazioni dalla parte del chiamato o aderente (cosiddette passive): le nuove ipotesi di incompatibilità non possono, altresì, ritenersi applicabili nelle seguenti casistiche: 1) nel caso in cui il chiamato in mediazione sia assistito da legale che sia anche mediatore (o collega o associato di un mediatore) presso l’organismo ove è stata depositata l’istanza, in quanto diversamente il medesimo si troverebbe privato dell’assistenza del proprio legale di fiducia, con grave violazione del diritto di difesa costituzionalmente garantito; 2) nel caso di mediazione ordinata dal giudice, nel quale il deposito dell’istanza di mediazione potrebbe essere intenzionalmente effettuato presso l’organismo dove opera come mediatore il collega di controparte, così strumentalizzando tale prevista incompatibilità;
c) sul rilievo disciplinare dei comportamenti tenuti dai mediatori, nonché dei professionisti soci, associati ovvero che esercitino la professione negli stessi locali: l’art. 62 del nuovo codice deontologico forense è riferito ai soli avvocati che esercitano la funzione di mediatore ed impone il rispetto della normativa vigente. La violazione dei divieti di cui all’art. 14-bis, da parte dei colleghi, soci o associati dei mediatori non determina alcun autonomo rilievo disciplinare, fatto salvo diverso ed eventuale rilievo del caso concreto;
d) effetti sui procedimenti; mancata contestazione o accettazione dell’incompatibilità: la situazione di incompatibilità derivante dalle nuove disposizioni, che sia emersa nel corso del procedimento di mediazione, può essere contestata dall’altra parte facendo valere un giustificato motivo per non partecipare alla mediazione o per non proseguire la medesima, ove trattasi di un primo incontro. La mancanza di contestazione (o l’accettazione espressa dell’incompatibilità) o la mancata partecipazione (priva di risposta) comporta il regolare svolgimento della mediazione, ai fini dell’espletamento della condizione di procedibilità, oltre che del raggiungimento dell’eventuale accordo.
Negoziazione assistita – Desta poi interesse quanto la Conciliazione forense propone in relazione alla negoziazione assistita. Nell’ottica dell’incentivazione delle soluzioni negoziali (con la fattiva collaborazione dell’avvocatura), ha confermato la valutazione positiva sull’introduzione della nuova “procedura”, ribadendo che la negoziazione assistita deve certamente rappresentare un primo approccio alla soluzione negoziale della controversia. Ove le parti non dovessero raggiungere un accordo, gli organismi di mediazione forensi proporranno l’intervento del mediatore (che, in molti casi, può fare la differenza) a condizioni agevolate.
Il Coordinamento degli organismi forensi ha quindi deliberato che, in caso di presentazione di una domanda di mediazione congiunta ad opera delle parti (assistite da avvocati), già dichiarando l’intenzione di avvalersi dell’opera del mediatore, gli organismi di mediazione proporranno una riduzione delle spese di mediazione fino al 50%, oltre alle ulteriori agevolazioni già previste dalla legge per gli accordi stipulati in sede di mediazione.
Fonte: http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/guidaAlDiritto/dirittoCivile/2014-11-24/gli-organismi-mediazione-impugnano-nuove-incompatibilita-112422.php