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Due madri per un solo bambino. Il primo sì dei giudici italianiby Studio Legale Padula

di Marina Crisafi – Un bambino può avere due madri? Se per molti ancora può sembrare un’eresia, in un’Italia fondata sulla famiglia “nucleare” formata da padre, madre e figlio, la domanda è stata, invece, positivamente accolta dalla Corte d’Appello di Torino, che ha riconosciuto nelle scorse ore il diritto di due donne (un’italiana e una spagnola) sposate e poi divorziate in Spagna, di essere dichiarate entrambe mamme del bambino dato alla luce nello stesso Paese grazie al ricorso all’inseminazione eterologa.

Una sentenza definita “rivoluzionaria” quella dei giudici di Torino, ma in un certo senso anche attesa.

Pur non avendo il legislatore mosso alcun passo ufficiale sul riconoscimento dei matrimoni gay e men che meno sul diritto alla filiazione/adozione delle coppie appartenenti allo stesso sesso, le corti italiane, chiamate a pronunciarsi più volte su vicende inerenti tali diritti hanno da tempo lanciato moniti su una presa d’atto urgente e necessaria.

Considerata, inoltre, la legislazione di molti Stati europei che si muove in senso contrario rispetto a quella italiana in materia, era scontato, quindi che prima o poi i tribunali del Bel Paese si sarebbero scontrati con una situazione di interesse “superiore”, come quello del diritto di un minore alla propria famiglia, prescindendo dal fatto che questa sia o meno omosessuale.

Così, la Corte d’Appello torinese, sovvertendo la sentenza del tribunale di primo grado, di fronte alla scelta tra la contrarietà o meno all’ordine pubblico e il bene primario del minore, rifacendosi ai principi affermati dalla Convenzione sui diritti del Fanciullo del 1989, ha optato immancabilmente per quest’ultimo, ritenendo il primo declinabile in funzione del secondo.

Ritenendo che la questione non riguardasse l’introduzione ex novo di una situazione giuridica inesistente, ma soltanto la garanzia di “una copertura giuridica ad una situazione di fatto in essere da anni, nell’esclusivo interesse di un bambino cresciuto da due donneche la legge spagnola riconosce entrambe come madri” (indicate, infatti, nello stato civile della città di Barcellona come “madre A” e “madre B”), la Corte ha pertanto ordinato all’ufficiale di Stato civile del Comune di Torino di trascrivere la nascita del bambino come figlio di entrambe le madri. Anche perché, la mancata trascrizione dell’atto di nascita, secondo i giudici subalpini, non riconoscendo in Italia la relazione parentale con la madre non partoriente, limiterebbe e comprimerebbe “il diritto all’identità personale del minore e il suo status”, andando ad intaccare anche la responsabilità genitoriale e privandolo dei rapporti successori nei confronti della famiglia della madre esclusa.

Dal canto suo, il comune di Torino, ha deciso invece di rimandare la trascrizione dell’atto e di attendere sulla vicenda il parere del Ministero degli Interni.

Nel frattempo, tra le polemiche e i consensi che incalzano, resta il fatto che una pronuncia di questo tipo, la prima in assoluto nel nostro Paese, segna un precedente unico di cui, senz’altro, altri tribunali terranno conto.

Evade il Fisco per via della crisi. La Cassazione lo assolve. In allegato il testo della sentenzaby Studio Legale Padula

Evade il Fisco per la crisi e la Cassazione annulla la condanna inflittagli dalla Corte d’appello di Catania.
È quanto è accaduto ad un imprenditore siciliano che, travolto da un improvviso problema di liquidità, determinato dal fallimento del suo unico cliente, preferisce versare gli stipendi di Natale ai dipendenti dell’impresa della quale è rappresentante legale anziché l’Iva all’Erario.
Con la sentenza n° 40394 dello scorso 30 settembre 2014, la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la condanna per mancato versamento dell’Iva inflitta dalla Corte d’appello di Catania all’amministratore di una cooperativa siciliana che aveva come principale committente “una società fallita proprio nell’imminenza della data di scadenza del pagamento delle imposte” e che non aveva potuto fare altro che insinuarsi al passivo del fallimento.
La Suprema Corte, ricordando che occorre sempre “una prova rigorosa” che la violazione della normativa “sia dipesa da un evento decisivo del tutto estraneo alla sfera di controllo del soggetto”, ha rilevato che la Corte d’appello del capoluogo etneo aveva del tutto trascurato di valutare la situazione specifica alla base del dissesto finanziario della cooperativa, in quanto se è vero, come sentenziato dai giudici di Catania, che “la carenza di mezzi finanziari da cui sarebbe derivata l’impossibilità di versare il tributo non influisce in alcun modo sulla struttura oggettiva del reato”, permane in capo alla magistratura “la doverosità di una verifica puntuale circa le caratteristiche della fattispecie concreta giunta all’attenzione dei giudici”.
Con la stessa sentenza i magistrati della Cassazione hanno in ogni caso rimarcato all’amministratore della cooperativa insolvente che tuttavia “non è possibile in linea di principio addurre a propria discolpa l’assenza dell’elemento psicologico del reato quando, in presenza di una situazione economica difficile, si decida di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti e di pretermettere il versamento delle ritenute all’Erario”.
Nel ricorso per cassazione l’imprenditore aveva criticato la decisione dei giudici d’appello perché avevano ritenuto sussistere l’elemento psicologico del reato sulla base di una considerazione del tutto formale ossia sul rilievo che l’imputato aveva ammesso di essersi visto costretto ad omettere il versamento dell’imposta.

In questo modo la Corte d’Appello ha omesso di considerare le ragioni per le quali ciò è avvenuto. Nella parte motiva della sentenza la Cassazione richiama anche un proprio precedente del 2013 (sentenza n.5905/2013) per ricordare che il tipo di esimente richiesta dall’imputato “è tradizionalmente identificata come la vis major cui resisti non potest, e consiste in quell’evento proveniente dalla natura o da fatto umano, che costituisce una forza maggiore rispetto a quella che può essere esercitata dall’agente. In tal modo, l’evento viene rescisso in modo assoluto dalla condotta dell’agente stesso”.
Naturalmente, ricorda la Corte, per invocare la causa di giustificazione della forza maggiore occorre una prova rigorosa sul fatto che la violazione del precetto penale “è dipesa da un evento del tutto estraneo alla sfera di controllo del soggetto agente”.
Secondo la Cassazione la decisione dei giudici di merito è errata laddove viene negata rilevanza alla causa di forza maggiore in modo piuttosto sommario.
Dato che la fattispecie in esame caratterizzata da dolo generico (e non specifico come erroneamente indicato dai giudici dell’appello), sarebbe stato necessario un accertamento più pregnante specialmente perché nel caso in esame non viene negata l’evasione ma dedotta la sopravvenienza di un evento estraneo alla volontà dell’agente.
Qui di seguito il testo della sentenza.

Fonte: Evade il Fisco per via della crisi. La Cassazione lo assolve. In allegato il testo della sentenza
(www.StudioCataldi.it)

Autovelox, le multe vanno notificate entro 90 giorni dallo scattoby Studio Legale Padula

Il termine di 90 giorni per la notifica dei verbali relativi alle infrazioni del Codice della strada decorre dalla data dell’infrazione e non da quella dell’accertamento. Lo ha ribadito il giudice di pace di Milano (giudice Francesco Rocca) con la sentenza 13347, depositata il 20 novembre, che ha confermato le osservazioni del ministero dell’Interno il quale, rispondendo alla Prefettura di Milano con la nota 16968 del 7 novembre scorso, ha bocciato la prassi del Comune di notificare i verbali oltre i termini consentiti dalla legge.

La nota del ministero ha lasciato un margine ai giudici di pace nei casi in cui «fattori esterni» impediscano la notifica nei termini indicati dall’articolo 201 del Codice della strada. La risposta dei Comuni è stata immediata: l’alto numero di infrazioni renderebbe impossibile notificare tutti i verbali entro i termini. Le prime indicazioni della giurisprudenza, invece, sono chiare. La notifica dei verbali deve decorrere da una data certa e inequivocabile senza che i Comuni «possano accampare una pluralità di impegni di cui risulterebbero oberati».

Il giudice di pace di Milano ha accolto un ricorso relativo a un’infrazione per eccesso di velocità accertato con un autovelox collocato sul cavalcavia del Ghisallo, che ha sanzionato in media oltre duemila automobilisti al giorno. Immediati sono arrivati i ricorsi e in questi giorni sono rese note le motivazioni delle prime sentenze favorevoli ai conducenti.
La sentenza offre un’interpretazione “evolutiva”: il giudice “invita” i Comuni ad adeguarsi al «progresso telematico e di ricerca dei dati» che non può più essere quello del passato, quando «le ricerche erano effettuate ancora per telefono o per iscritto». Ma la tecnologia non risolve tutto. L’agente incaricato, infatti, deve validare i verbali precompilati e i fotogrammi (articolo 11 del Codice della strada e direttiva Maroni del 14 agosto 2009). Tale omissione renderebbe nulli i verbali.

Seguendo questo orientamento, quindi, la Pa potrebbe essere costretta a rivedere il proprio modo di operare, soprattutto perché le multe che vengono contestate in maniera differita sono circa il 90% del totale. Si eviterebbe in questo modo il rischio di spostare in avanti sine die il termine entro cui gli agenti possono accertare le infrazioni. Nel caso esaminato dal giudice di pace, la violazione era stata commessa il 5 aprile, mentre l’accertamento era stato fatto risalire al successivo 1° luglio, con verbale notificato il 27, quindi ben oltre il termine dei 90 giorni. Il vizio di notifica potrebbe avere conseguenze pesanti sulle casse dei Comuni, portando all’annullamento di tutti i verbali notificati fuori termine.

La questione è già stata sollevata più volte, soprattutto con riferimento ai verbali che prevedono anche la decurtazione dei punti della patente del conducente. In questi casi, lo slittamento in avanti dei tempi di accertamento vanifica di fatto il diritto di difesa del ricorrente, quasi sempre posto nell’impossibilità di ricordarsi il nome del conducente e di comunicarlo tempestivamente, con il rischio di vedersi notificare un ulteriore verbale. Le pronunce però sono state oscillanti, ritenendo valide le multe se le attività di accertamento venivano svolte in tempi ragionevoli, che in ogni caso dovevano essere indicati.
Ora, se l’orientamento milanese sarà confermato, i Comuni dovranno adeguarsi velocemente, con il rischio, in caso contrario, di vedersi addebitare anche le spese del giudizio.

Riforma della giustizia: d’ora in avanti chi perde paga le spese di giudizio. In arrivo la modifica all’art. 92 c.p.c.by Studio Legale Padula

“Chi perde paga” è uno dei leitmotiv di questi giorni inerenti uno dei cardini fondamentali della riforma della giustizia. Tra le misure introdotte nello schema di decreto legge varato dal Consiglio dei Ministri il 29 agosto scorso (Vedi: RIFORMA della GIUSTIZIA CIVILE (Consiglio dei Ministri 29.8.2014) – Tutte le novità: schema sul DECRETO LEGGE Renzi-Orlando  – Avv. Paolo Storani), nell’ambito del pacchetto di riforme che dovranno “rivoluzionare” il sistema giustizia e, in primis, il processo civile, c’è, infatti, il rafforzamento della previsione che chi soccombe nel giudizio è tenuto a rimborsare le spese del processo, limitando notevolmente i casi di compensazione.

Nulla di nuovo, in ordine al principio di procedura, notoriamente previsto dall’art. 91 c.p.c., secondo il quale le spese seguono la soccombenza.

La novità riguarda, invece, il regime della compensazione delle spese che, spesso, nella prassi, nonostante le modifiche restrittive introdotte negli ultimi anni all’art. 92 c.p.c., e da ultimo con la l. n. 69/2009, vanifica il principio della soccombenza, rappresentando un danno per la parte vittoriosa e un incentivo alle liti, attraverso il largo uso del potere discrezionale di compensare le spese processuali.

 

Proprio al fine di fare da deterrente alle cause temerarie e spingere verso una maggiore funzionalità del processo civile di cognizione (con l’auspicata riduzione dei flussi in entrata), risponde la modifica dell’art. 92, 2° comma, c.p.c., introdotta nello schema di decreto legge in attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

La disposizione che si applicherà ai “procedimenti introdotti a decorrere dal trentesimo giorno successivo” all’entrata in vigore della legge di conversione del decreto” sostituisce, infatti, il secondo comma dell’art. 92 c.p.c. eliminando le “gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione” che hanno giustificato sino ad oggi il largo ricorso alla compensazione, intera o parziale, delle spese tra le parti, prevedendola solo nelle ipotesi di “soccombenza reciproca ovvero nel caso di novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza”. 

Fonte: Riforma della giustizia: d’ora in avanti chi perde paga le spese di giudizio. In arrivo la modifica all’art. 92 c.p.c.
(www.StudioCataldi.it)

La Cassazione ribadisce: illegittime le multe su strisce blu se non ci sono aree di parcheggio gratuiteby Studio Legale Padula

di Licia Albertazzi – Corte di Cassazione civile, sezione sesta, ordinanza n. 18575 del 25 Agosto 2014. 

Se è vero che l’art. 7 comma 8 del Codice della strada prevede l’obbligo, in capo al conducente, di esporre il ticket di sosta nelle apposite aree destinate a parcheggio, è altrettanto vero che lo stesso Codice prevede l’obbligo, a carico dell’ente locale, di predisporre aree di parcheggio gratuite laddove ci sono zone di sosta a pagamento.

Sono illegittime quindi le contravvenzioni elevate a carico di chi non ha esposto il ticket in un aria di parcheggio a pagamento se mancano aree di parcheggio “free”.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, la ricorrente aveva contestato una multa per mancata esposizione del tagliando.

Il giudice di merito non aveva voluto sentire ragione e la donna si era rivolta quindi alla suprema Corte che accogliendo il ricorso ha anche evidenziato come la sentenza impugnata fosse affetta da violazione di legge (nello specifico, violazione delle regole inerenti l’onere della prova).

La Cassazione ricorda come, nelle cause di opposizione a sanzione amministrativa (nel caso in cui, quindi, convenuta innanzi al giudice civile sia una pubblica amministrazione) l’amministrazione, anche se formalmente convenuta, di fatto assume il ruolo di “attore sostanziale”; “spetta, quindi, ad essa, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., di fornire la prova dell’esistenza degli elementi di fatto integranti la violazione contestata, mentre compete all’opponente, che assume formalmente la veste di convenuto, la prova dei fatti impeditivi o estintivi”.

Nel caso di specie la ricorrente, sia in primo grado che in appello, aveva contestato sia la mancanza nella zona di spazi gratuiti adibiti a parcheggio, sia l’assenza di specifica delibera comunale che qualificasse l’area tra quelle esenti da tale obbligo (ad esempio area urbana di particolare valore storico o di particolare pregio ambientale).

Allegando ciò l’attrice avrebbe esaurito i propri oneri processuali, avendo dovuto l’amministrazione resistente produrre in giudizio atti o fatti che provassero il contrario (ad esempio, delibera comunale di qualificazione di detta area come sottoposta a eccezione normativa).  

Per saperne di più è possibile scaricare qui sotto il testo integrale della sentenza.

Fonte: La Cassazione ribadisce: illegittime le multe su strisce blu se non ci sono aree di parcheggio gratuite
(www.StudioCataldi.it)

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