Archive for Giugno, 2015
Il nuovo atto di precetto dopo il decreto “anti credit crunch”. In allegato la guida aggiornata e il fac-simileby Studio Legale Padula
Il d.l. n. 83/2015 entrato in vigore il 27 giugno scorso modifica anche il contenuto dell’atto di precetto. In allegato il testo del decreto
di Marina Crisafi – Tra le diverse novità contenute nel decreto c.d. “anti credit crunch” approvato dal Governo il 23 giugno scorso che vanno ad incidere, ancora una volta, sulla procedura esecutiva, con l’obiettivo ultimo di accorciare i tempi del recupero dei crediti, evitando al contempo, l’aggravamento delle situazioni di crisi (leggi: “Governo: ok al “pacchetto banche”. Ecco le novità sulle procedure concorsuali”), rileva anche la modifica alla formula dell’atto di precetto che si arricchisce di una nuova dicitura.
La riforma, infatti (ex art. 13), va a novellare il 2° comma dell’art. 480 c.p.c., dedicato alla “forma del precetto”, prevedendo un nuovo adempimento formale per il creditore, il quale è tenuto ad avvertire il debitore che può concludere con i creditori un accordo di composizione della crisi o proporre un “piano del consumatore”, con l’ausilio di un “organismo di composizione della crisi o di un professionista nominato dal giudice”.
Si tratta, com’è evidente, di una previsione concepita sia a vantaggio del debitore, che potrà cercare di porre rimedio, come recita la nuova disposizione “alla situazione di sovraindebitamento”, potendo trovare una soluzione che gli consenta di pagare i propri debiti, sia a vantaggio del creditore che, grazie all’aiuto di un professionista o di un organismo ad hoc, ha maggiori possibilità di vedere soddisfatte le proprie istanze.
Il nuovo avvertimento, pertanto, dovrà essere obbligatoriamente inserito dal creditore all’interno dell’atto, unitamente agli altri previsti dall’art. 480 c.p.c. (indicazione delle parti, data di notifica del titolo, se è fatta separatamente, trascrizione integrale se richiesta dalla legge, dichiarazione di residenza o elezione domicilio dell’istante nel comune in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione).
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Fonte: Il nuovo atto di precetto dopo il decreto “anti credit crunch”. In allegato la guida aggiornata e il fac-simile
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Avvocati attenzione: troppe ore seduti, in studio, davanti al computer, aumentano l’ ansiaby Studio Legale Padula
Secondo la ricerca di un’università australiana stare troppo seduti al lavoro, davanti al pc, fa aumentare gli stati ansiogeni
di Marina Crisafi – Che la vita sedentaria non faccia bene alla salute fisica è un fatto notorio ma che possa nuocere anche alla mente è una novità. A rivelarlo è una recente analisi, condotta da un gruppo di ricercatori del Centre for Physical Activity and Nutrition Research della Deakin University, in Australia, secondo la quale stare troppo seduti, al lavoro davanti al pc aumenta il rischio di soffrire di ansia.
Stando ai risultati dell’analisi, pubblicati sulla rivista Bmc Public Health, infatti, esiste un’associazione tra attività che comportano poco dispendio energetico, come stare seduti appunto, e il rischio di sviluppare forme ansiogene.
L’idea di indagare sul legame tra l’ansia e la sedentarietà, come spiegato da Megan Teychenne, capo del gruppo di ricerca, è nata dall’osservazione che, negli ultimi anni, all’aumento degli stili di vita sedentari tipici della modernità è corrisposta una parallela crescita dei sintomi ansiosi.
Per capire se entrambi i fattori fossero collegati, gli studiosi australiani hanno effettuato nove tipi di analisi, relative ai diversi comportamenti sedentari, tra cui in primis lo stare seduti per motivi di lavoro, davanti al computer, ma anche per guardare la TV, per giocare i videogiochi oppure per l’uso dei mezzi pubblici.
I risultati, in tutti i casi, non hanno lasciato adito a dubbi evidenziando come i comportamenti sedentari in genere, e nello specifico lo stare seduti, fossero associati a un maggiore rischio di ansia.
Tuttavia, ancora non è detta l’ultima parola: la ricerca, infatti, come precisato dalla stessa Teychenne, ha dimostrato soltanto che esiste un’associazione positiva tra i due fattori, ma bisogna capire se è la sedentarietà che provoca l’ansia o, viceversa, se è questa a spingere verso la prima.
Perciò per confermare i risultati della review serviranno indagini più approfondite sul tema, peraltro, di vitale importanza, stando ai ricercatori, per disporre di strumenti e strategie in grado di prevenire e contrastare un fenomeno, estremamente dannoso per la salute.
Nell’attesa, chi non può evitare di stare troppo tempo seduto, per ragioni di lavoro, davanti a un computer, farà bene a procurarsi una seduta ergonomica, così perlomeno anche se correrà il rischio di veder aumentare la propria ansia, potrà farlo comodamente.
Fonte: Avvocati attenzione: troppe ore seduti, in studio, davanti al computer, aumentano l’ansia
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Autovelox “incostituzionali”: in arrivo una pioggia di ricorsiby Studio Legale Padula
Dopo la sentenza della Consulta, le associazioni dei consumatori scendono in campo contro le multe prodotte dagli autovelox non sottoposti a verifiche
di Marina Crisafi – Com’era prevedibile, la sentenza della Corte Costituzionale n. 113/2015 che ha bocciato la legittimità delle multe prodotte dagli autovelox senza verifiche e tarature periodiche (leggi “Nullo il verbale per eccesso di velocità che non riporta la data di revisione dello strumento di rilevazione“) sta già producendo i suoi effetti.
Affilando le armi, infatti le associazioni dei consumatori scendono in campo e annunciano una pioggia di ricorsi per l’annullamento delle multe elevate agli utenti.
Per il Codacons, è evidente l’assoluta illegittimità delle migliaia e migliaia di contravvenzioni elevate per eccesso di velocità e, pertanto, “sarà possibile ottenerne l’annullamento – spiega il presidente Carlo Rienzi, ove – i Comuni non abbiano eseguito la manutenzione prevista dalla Corte Costituzionale”.
E dall’associazione si preparano ad affrontare le oltre 8mila amministrazioni nel mirino, con azioni finalizzate ad ottenere il rimborso per le infrazioni registrate dagli apparecchi non a norma.
Dal canto suo, l’Adusbef invita i consumatori che non hanno ancora pagato ad aspettare perché sta predisponendo un modulo scaricabile da inviare all’autorità che ha emanato la multa per chiederne l’annullamento in autotutela.
Un’altra sentenza, dunque, ricca di ricadute negative sui conti pubblici (più in termini di entrate anziché di uscite), andando a gravare sulle casse dei Comuni (per lo meno i più attivi in termini di multe) togliendo una rilevante voce del bilancio che in media frutta 1,2 miliardi all’anno.
Tuttavia, prima di cestinare la multa o fare ricorso, bisogna fare attenzione. Occorre, infatti, tenere a mente che la sentenza della Consulta non colpisce tutti i verbali: la stessa va a sanzionare soltanto gli autovelox “presidiati”, quelli cioè “impiegati sotto il controllo costante degli operatori di polizia stradale” che, in virtù del d.m. 29 ottobre 1997 non venivano sottoposti a controlli periodici.
La seconda “famiglia”, invece, quella degli apparecchi automatici piazzati sulle strade italiane non è finita sotto la lente della Consulta perché di regola sono sottoposti a verifiche, in attuazione dei principi fissati dal Ministero delle Infrastrutture nel 2005, ad integrazione del d.m. 1997.
La Corte ora ha equiparato i controlli per tutti gli apparecchi, affermando l’illegittimità della norma (art. 45, comma 6, Cds) che non prevede i controlli e la taratura periodica per tutti gli autovelox, ripartendoli appunto tra quelli automatici, soggetti a verifiche periodiche, e quelli usati dagli agenti, esentati.
Per capire a quale delle due “famiglie” appartiene l’apparecchio utilizzato ai fini della rilevazione dell’infrazione, in genere basta leggere il verbale: se la stessa è stata accertata dalla pattuglia si dovrebbe trattare dell’autovelox presidiato, viceversa, se l’apparecchio è automatico, oltre ai riferimenti di legge che lo autorizzano dovrebbero esserci indicazioni in merito al tratto in cui sono stati inseriti. Laddove, invece, nulla fosse riportato nel verbale, si potrà chiedere all’autorità che ha emanato la multa.
Questo per le contravvenzioni già elevate, perché per quelle future i Comuni dovranno allegare ai verbali per le multe da autovelox anche l’attestazione indicante la data dell’ultima taratura eseguita, a pena di impugnazione degli automobilisti.
Fonte: Autovelox “incostituzionali”: in arrivo una pioggia di ricorsi
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Anche in caso di compensazione delle spese processuali, la parte vittoriosa può esigere il rimborso del contributo unificato dalla parte soccombenteby Studio Legale Padula
Trattandosi di obbligazione “ex lege”, è sottratto alla potestà del giudice di disporne la compensazione ovvero di liquidarne autonomamente l’ammontare
All’esito di un giudizio, non sempre accade che il Giudice condanni alle spese giudiziali la parte soccombente: ciò in deroga, seppur motivata, al noto principio della soccombenza reale o virtuale (quest’ultima soggetta ad una astratta previsione, nei casi cessata materia del contendere, ad esempio) di cui all’art. 91 c.p.c..
Orbene, la ratio sottesa a tale “meccanismo” processuale, certamente volto a garantire la piena realizzazione del diritto di difesa costituzionalmente garantito (art. 24 Cost.) e del principio di matrice europea del “giusto processo” (art. 6 CEDU), è quella di consentire alla parte le cui ragioni vengono sostanzialmente appurate e condivise dal Giudice di non dover subire i costi della stessa iniziativa giudiziale, avviata proprio a causa dello scorretto comportamento di controparte.
Si consideri, che la condanna alle spese di giudizio può essere disposta dal Giudice anche d’ufficio, ovvero pur se difetti una esplicita richiesta in tal senso per conto della parte vittoriosa: ed infatti, ove il difensore di quest’ultima abbia omesso di produrre la nota spese, come previsto dall’art. 75 disp. att. c.p.c. ai fini del controllo di congruità ed esattezza della richiesta e di conformità alle tariffe professionali, il Giudice vi provvede, comunque, d’ufficio sulla base degli atti di causa (in tale senso, cfr. Cass. Civ. sentenza n. 42/2012).
Tanto accade, in disparte la previsione più estrema della condanna al risarcimento del danno per lite temeraria, prevista dall’art. 96 c.p.c. nei casi di condotte processuali colpevolmente defatigatorie.
Ma non sempre il Giudice, nel disporre la condanna alle spese, valutate le circostanze del giudizio ed il comportamento tenuto dalle parti, applica il principio di soccombenza.
Si riscontra, invece, sempre più spesso, che all’esito del giudizio, il Giudice dichiari la compensazione delle spese fra le parti, di talché ciascuna di esse è costretta a sopportare i costi della propria difesa, nonostante sia risultata vittoriosa.
Ebbene, in tali casi, spesso sfugge che il contributo unificato, pagato dalla parte vittoriosa, può, comunque, essere richiesto da quest’ultima alla parte soccombente, anche ove essa non si sia costituita in giudizio.
Ed infatti, come si è, più volte, pronunciato, al riguardo, il Giudice di Legittimità, in base al chiaro tenore letterale dell’art. 13, comma 6 bis, D.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 2 comma 35 bis lett. e) d.l. 13 agosto 2011 n. 138, nella versione integrata dalla legge di conversione 14 settembre 2011 n. 148, la parte soccombente è tenuta in ogni caso a rimborsare a quella vittoriosa il contributo unificato dalla stessa versato, venendo in considerazione una obbligazione “ex lege” sottratta alla potestà del giudice sull’ an e sul quantum.
Tanto vale, oltre che per il processo civile, anche per il processo amministrativo.
In quest’ultimo caso, in particolare, il Consiglio di Stato ha espressamente affermato che nel processo amministrativo la compensazione delle spese di giudizio non può riguardare anche il contributo unificato, essendo esso oggetto di una obbligazione “ex lege” sottratta alla potestà del giudice, sia riguardo alla possibilità di disporne la compensazione, sia riguardo alla determinazione quantitativa del suo ammontare (sul punto, Consiglio di Stato, sez. III, sent. n. 1160 del 13/03/2014).
Insomma, salva l’ipotesi dell’appello della pronuncia del Giudice in parte qua, relativamente al capitolo “spese”, la ripetibilità del contributo unificato versato dalla parte vittoriosa resta, seppur una magra consolazione, certamente un credito da far valere!
Avv. Stefania D’Amato
Cultore di materia presso l’Università del Salento
Fonte: Anche in caso di compensazione delle spese processuali, la parte vittoriosa può esigere il rimborso del contributo unificato dalla parte soccombente
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Whatsapp: ecco i divieti che tutti ignoranoby Studio Legale Padula
L’app di messaggistica istantanea più usata a livello mondiale contiene diversi divieti, ignorati dai più, come quello di essere inibita ai minori di 16 anni
di Marina Crisafi – Oltre 700 milioni di utenti attivi la classificano come la app più utilizzata al mondo per chat e messaggistica istantanea, ma tra gli utenti Android, iOS e Windows ci sono anche coloro cui Whatsapp è vietata.
Lo sapevate, infatti, che il suo utilizzo è inibito ai minori sotto i 16 anni? Probabilmente no, perché il divieto è, di fatto, ignorato dai più, visto che, come rivela un recente sondaggio realizzato da Mec-Skuola-net, il 70% dei ragazzi con meno di 16 anni utilizza Whatsapp quotidianamente.
Eppure basterebbe leggere termini e condizioni di utilizzo dell’app – regole che, per inciso, appaiono in bella vista e sono da approvare e da rispettare nel momento in cui si effettua l’installazione – per saperlo, ma forse per la fretta e la superficialità con la quale ormai si scarica sullo smartphone o, forse deliberatamente, nessuno ci fa caso.
Quello degli under 16 tra l’altro non è l’unico divieto.
L’app infatti vieta l’invio di messaggi e contenuti di natura pornografica, razzista, offensiva, minacciosa, illegale e diffamatoria ed è, inoltre, inibita agli utenti che si collegano da Paesi soggetti a embargo da parte degli Stati Uniti o che sono da questi ritenuti “simpatizzanti dei terroristi” o, ancora, che facciano parte di una delle liste “proibite” dalla Casa Bianca.
Tutti divieti contenuti nei classici termini d’uso che sono debitamente ignorati dagli utenti.
Ma neanche da WhatsApp, sinora, sembra ci sia stato un qualche tipo di intervento inibitorio.
Quindi, come si dice, quando il gatto non c’è i topi ballano. Ma attenzione, perché il gatto è sempre in agguato.
Anche perché le regole (“Terms of service”) parlano chiaro: è l’utente l’unico responsabile dei contenuti pubblicati, identificato dal numero che appare sul display del proprio telefono e del ricevente, e, dunque, l’unico chiamato a rispondere per qualsiasi violazione perpetrata o danno causato. Regole, si ricorda, pienamente accettate sin dal momento in cui si scarica la app, anche se dopo vengono ignorate.
Fonte: Whatsapp: ecco i divieti che tutti ignorano
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